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A Siracusa paghiamo la crescita culturale

Siracusa è, tra le province siciliane, quella che presenta i maggiori differenziali regionali nel livello di sviluppo e la Sicilia, a sua volta, pur appartenendo solidamente alla parte meno sviluppata del paese, con un PIL pro capite influente della media nazionale è caratterizzata da forti disparità territoriali.

Tali divari, inoltre, non sempre sono imputabili a caratteristiche strutturali dei diversi luoghi. Ad esempio, se è ragionevole attendersi che le aree montane, caratterizzate da criticità morfologiche all’insediamento di popolazione e attività produttive, si collochino su livelli di sviluppo tendenzialmente inferiori a quelli delle aree pianeggianti, ciò non vale per le aree costiere.

Sostanzialmente in termini operativi comporta la necessità di selezionare in maniera efficace territori e settori strategici su cui concentrare gli investimenti, ma anche di preferire politiche orientate alla crescita, piuttosto che di mero sostegno ai redditi e interventi rivolti più che ai singoli soggetti ai diversi contesti territoriali, al fine di renderli più favorevoli all’attrazione di investimenti privati e all’incremento della produttività dei fattori. Ma in tutti questi anni di operatività industriale non si è sviluppato un terziario che poteva avere le condizioni favorevoli di sviluppo per  la trasformazione di tensioattivi anionici, che trovano applicazioni nel campo della detergenza, cioè detersivi e derivati. Come la plastica derivata dal petrolio, ed altri prodotti scaturiti dalla stessa con una infinità varietà commerciale.

Un terziario mancato a Siracusa in questi lunghi anni di zona industriale? Non siamo noi a dirlo anche se constatiamo la realtà. Di chi è la responsabilità affinché creare le condizioni di sviluppo e sensibilizzare l’ambiente? Diverse categorie di settore siracusane devono fare necessariamente il mea culpa per non avere fatto abbastanza.

Noi non abbiamo la bacchetta magica o filtri del mago indovino, ma è chiaro che per avere effetti positivi sui rendimenti privati e sulla produttività, gli investimenti pubblici, che tutto sommato ci sono stati, richiedono, in primo luogo, una classificazione efficace delle tipologie territoriali e delle risorse su cui si vuol intervenire. In maniera molto schematica, è possibile classificare i diversi contesti in tre categorie: a) i luoghi della concentrazione diversificata, vale a dire le aree urbane, in cui operano i vantaggi di agglomerazione di natura jacobiana, centrati su varietà, interscambio e innovazione; b) i luoghi della concentrazione specializzata, ovvero i distretti, che si avvantaggiano di economie di tipo marshalliano, basate su specializzazione produttiva e capitale relazionale; c) infine, i luoghi della diffusione, quindi le aree interne, il cui vantaggio comparato sta nella dotazione di risorse ambientali e culturali meno sfruttate. Occorre poi selezionare sia le risorse sottoutilizzate su cui intervenire (naturali, culturali, umane, istituzionali), sia le strategie da perseguire (politica per le reti, per le agglomerazioni, per l’accessibilità alle risorse immobili).

Nell’analisi l’approccio descritto, teso a individuare punti di forza e di debolezza delle diverse aree e a proporre soluzioni più in linea con i contesti a sviluppo avanzato, in cui non si tratta di “ripartire da zero”, quanto piuttosto di riqualificare e migliorare l’esistente, le aree bonificate, e in cui l’attenzione agli aspetti “quantitativi” dello sviluppo (posti di lavoro, redditi) deve necessariamente coesistere con quella alla sostenibilità dello stesso e alla qualità della vita.

Siamo rimasti basiti sull’intervento del presidente di Confindustria Sicilia, Alessandro Albanese che è intervenuto nel convegno di venerdì dal tema: “Questione meridionale oggi nel contesto europeo”, nella sede di Confindustria Siracusa, che riportiamo alcuni passaggi.

«Nel passato ci sono state leggi buone e non buone, chi ricorderà la 44, la 32, quelle buone erano le stesse di quelle non buone solo che utilizzate da imprenditori seri e non da imprenditori che speculavano sulle cose.

«Noi abbiamo un’Europa economica politica o soltanto finanziaria economica e non politica. Perché noi vediamo, da temi importantissimi a temi che ci toccano particolarmente che sono temi sugli aiuti che sono in realtà molto spostati soprattutto sui territori del nord Europa dove la presenza anche di uomini che studiano all’interno bene le materie, si trovano poi piccoli territori dal punto di vista geografico, ma enormi dal punto di vista del peso economico a dettare leggi su tante cose

«Prendiamo la cosa che ci interessa di meno, la pesca. Noi non possiamo pescare se non a 24 miglia il nostro pesce azzurro, nel frattempo arrivano dall’Europa e si vanno a pescare il nostro pescato. Perché? Perché il peso politico di queste nazioni ha fatto si che tutte le grandi scelte siano penalizzanti per noi. Detto questo ritorno, perché facevo questa considerazione sul fatto che ci lamentiamo di un certo meridionalismo che subiamo e allora in realtà andiamo a vedere quello che da il Meridione all’Italia in termini strategici, produttivi ed economici.

Ad un tratto il presidente Albanese inizia a sciorinare una serie di dati dal rimanere increduli: il 50% della nazione siderurgica sono a Taranto; 61% petrolifera a Priolo, Sardegna e Taranto; il 50% delle auto sono costruiti in Campania; quasi l’80% dell’astrazione avviene nel meridione dell’Italia; piombo e zinco in Sardegna, Brindisi e Priolo; energia fonte eolica, Molise, Campania, Calabria e la prima è la Puglia e la Sicilia; le pale eoliche sono costruite a Taranto, per non parlare degli alimentari; la macinazione del grano Di Vella, Barilla, Rummo, De Cecco sono tutte del Meridione d’Italia, passiamo a cose che tocchiamo ogni giorno, legumi e tutto quello che è il caseario, i pomodori, tutte sul napoletano.

«Divani e poltrone in Puglia, tutto il ferroviario tutto nel meridione, gran parte in Calabria e a Caserta, e poi l’aerospazio Campania e Puglia con la Leonardo; Sicilia, la ferramenta non solo di Catania con il polo, ma anche in Campania, e la cantieristica navale, tra Castellammare, Palermo e Taranto.

Continua il presidente Albanese: «Noi produciamo nel Meridione circa 50% in questo Paese, il problema è che la produciamo e la subiamo, perché poi il reddito pro capite nostro è il reddito più basso. Dobbiamo capire qual è la svolta che dobbiamo dare, perché se siamo così bravi a produrre significa che abbiamo la professionalità, se siamo così bravi soprattutto ad inserirci attraverso le grandi aziende nei mercati internazionali facciamo un convegno dove il titolo alla fine è: ‘la questione meridionale’.

«Ma la questione meridionale dove la dobbiamo affrontare? Noi siamo come meridione preparati a sfide ben più importanti, dal punto economico finanziario sicuramente ci lamentiamo su tante cose ci mancano o piangiamo perché vogliamo più contributi. In realtà c’è un problema ancora più grande, io non vorrei staccarmi dal tema e concludo.

«Ci sono quest’anno 811mila domande in più di posti di lavoro non qualificati, che però chiedono delle competenze non specifiche ma trasversali: Capacità di comando, di Inserimento, Relazioni e questa è una cosa che con i corsi di formazione normali non si insegnano, questo tipo di capacità che esula bisogna trovarla in altre cose.

«Può darsi che noi la questione meridionale la possiamo risolvere chiedendo più asili nido, scuole più performanti, scuole aperte il pomeriggio, più insegnanti possibili, università migliori, perché abbiamo questa cosa di dire che abbiamo rapporti meravigliosi con l’università, poi prendiamo le nostre università e sono tra gli ultimi posti in classifica, può darsi che dobbiamo chiedere università che funzionano meglio, corsi che funzionano meglio e soprattutto dobbiamo chiedere una formazione umanistica, che deve assolutamente formare le persone, perché questo rapporto che noi abbiamo con la formazione, a costi e ricavi è normali, perché se faccio una formazione per un ingegnere o un metalmeccanico, la faccio per sei mesi ed ho un ricavo immediato, se devo fare una formazione più importante che è quella della vita devo farne 15-20 anni, devo avere le scuole che funzionano, però se così fosse non avremmo avuto Galileo, Socrate etc..  che hanno avuto tempi di apprendimento, 30-40 anni, però ci siamo trovati gente che ha scritto la storia.

«Allora nel ripensare e nel rivedere quest’aspetto forse dovremmo cominciare a chiedere nella nostra storia meridionale molta più attenzione, sulla base fondamentale dello sviluppo sociale, prima che economico che è questa, quello dello sviluppo culturale, perché quella che paghiamo forse è la ‘crescita culturale’.

«Concludo definitivamente dicendo che l’impresa che non cresce è un’impresa che perde, noi dobbiamo focalizzarci su questo, sul crescere, ma deve crescere soprattutto culturalmente, in rapporti con il territorio perché se non cresce perdiamo e diventa un’equazione facile».

Un sorriso,
Joe Bianca