
Fra ceto medio e proletariato, nell’abbozzo di stratificazione sociale elaborato, si collocano i mastri, i capomastri delle elezioni, i campieri, i mezzadri e gli artigiani in genere (lacchè e tirapiedi) comunemente chiamati politicanti portatori d’acqua al mulino.
E infine il proletariato, la grande maggioranza della popolazione supina. Questa classe sociale è composta da smemorati, sottosviluppati, dai braccianti e dai mezzadri sociali, poveri in cerca di un posto al sole per ricevere l’obolo della presenza in consiglio comunale. Assieme ad essi, i caprai e pecorai di non meglio precisata natura.
Molto spesso è impossibile fare ulteriori suddivisioni, data l’intercambiabilità del soggetto, l’uno vale l’altro, ci spieghiamo meglio: in questo mondo sociale, dove tutti hanno pari conoscenze e capacità in ogni campo, “uno vale uno” è un principio meraviglioso per chi è il burattinaio di turno, il ciarlatano che la dice più grossa, affinché la gente gli creda.
Dagli strati più poveri della popolazione i cui membri, tranne che per alcune categorie più specializzate, come quelle pseudo accademici presuntuosi per natura, possono lavorare tanto in campagna quanto ad allevare animali. Ciò è dovuto, oltre che al basso livello d’istruzione e cultura, dei due settori di categoria del lavoro agricolo confacente.
Si racconta che nel 1890 la piramide della stratificazione sociale di una collettività era così suddivisa, Civili: a) borghesia terriera; b) Ceto medio-alto: professionisti, impiegati, maestri, proprietari non coltivatori, gabelloti ecc.; c) Ceto medio-basso: clero, massari, sensali, negozianti, appaltatori, cottimisti, ecc.; d) Proletariato: mezzadri, mastri, capomastri, braccianti, mezzadri e poveri ecc.
Ma i Greci avevano previsto anche questo: oclocrazia, la chiamò Polibio, che stima la durata di una democrazia, ovvero d’un saggio governo d’uguaglianza, ‘finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza, che stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi (…) viene abolita e si trasforma in violenta demagogia’. Un inevitabile decadimento, un concetto che nell’Ottocento viene condensato in ‘tirannia della maggioranza’ e che a noi pare ritrovarsi nell’odierno “uno vale uno”, pericoloso e utopistico.
A Siracusa dove tutti si credono di essere, un mondo di politicanti mercenari e ciarlatani, dove tutti hanno pari conoscenze e capacità in ogni campo, ‘uno vale uno’ è un principio pericoloso e utopistico. Ma non è così: abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri, vivaddio, ma questo non significa che abbiamo anche la stessa altezza, lo stesso colore degli occhi, gli stessi talenti, la stessa esperienza e le stesse capacità. Affinché una società funzioni, bisogna mettere gli ingranaggi giusti al posto giusto, altrimenti ‘uno vale uno’ decade in ‘uno qualsiasi vale uno’.
Non vogliamo farne una questione politica e anzi condivido la disperata esigenza siracusana di rinnovamento della nostra classe dirigente, ma proviamo a riflettere sui principi generali di questo rinnovamento.
Gli stessi principi che si applicano quindi anche a chi ‘possiede’ il sapere, la saggezza. Ma lo usa come fosse ignoranza. Ma in questa Siracusa spaccata e tifosa piace infatti commentare e azzannarsi. E se alcuni si sentono in diritto di dire la loro su tutto, altri si credono in dovere di bullizzarli facendo pesare la loro maggiore conoscenza.
È un’esibizione muscolare di sapere, primitiva nei modi, che anziché animare i dibattiti innalzandone il livello democratico del sapere e argomentando le ragioni, si ridicolizza e sentenzia. A ‘uno vale uno’ si contrappone ‘io sono io’. Fine dei giochi, dei discorsi e della libertà di dire la propria idea, magari sbagliando ma quindi, si presume, imparando.
Avere ragione non sempre coincide con avere ragionevolezza. La nostra speranza è in chi oggi ha le gambe sotto i banchi, affinché sappia di sapere abbastanza e di valere per quanto merita.
Ma senza gettare la croce a nessuno in tempo di quaresima, «ma tra tutte queste opposizioni che si fanno a questa amministrazione», nessuno riesce a chiedere conto a questa Amministrazione di come ha speso i soldi negli ultimi 5 anni?» espone l’idea un mio amico su facebook.
«Lo si dovrebbe fare ufficialmente. Pare che nessuno vuole farlo, forse perché tutti hanno ricevuto più o meno, poco o tanto contributi? Ma quanto è a chi ha dato i soldi questa fantomatica Amministrazione nel corso degli anni?
Ed ancora, «come questa amministrazione ha amministrato?
«Una amministrazione seria dovrebbe poter presentare un bilancio pubblico e particolareggiato dei soldi spesi e concessi ai propri cittadini. E non essere omertosi.
«Da nessuna parte si evince quali contributi, quanti euro e a chi hanno spartito il bottino.
«A questa amministrazione non solo è mancato il controllo di un consiglio comunale. Ma è mancata totalmente la trasparenza». Falsi e sempre pronti nel diffondere accuse senza mai nessun contraddittorio. Un giorno non ne sentiremo la mancanza.
Registriamo infine l’intervento di Roberto Fai, amico di Joe Bianca su Facebook:
«Perché, pensare davvero che Agrigento sia governata bene o abbia presentato un Dossier carico di un processo di modernizzazione civico-sociale – mobilità, qualità della vita, forme di partecipazione democratica, ricucitura urbana ecc. Sono valutazioni che pur entrando nel “merito” dei progetti, alla fine hanno una origine “politica”….2002 e 2003 hanno vinto due città del Nord, per cui un “riequilibrio” ci può stare. Dico ciò non per difendere Siracusa – la Giunta di SR si è iscritta al MIUR per partecipare il giorno stesso in cui si chiudeva il Bando, a conferma che è stata una partecipazione “da disperati”!».
Un sorriso,
Joe Bianca