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Le Periferie a Siracusa: I politici le vogliono ghetto

Tanti cittadini della periferia disastrata Siracusana si sentono abbandonati. C’è una domanda di fondo che riguarda i siracusani, ma anche gli altri cittadini della provincia che guardano il loro capoluogo: che succede a Siracusa?
Sono diverse le aree periferiche di Siracusa, disseminate perlopiù in assenza di un Piano regolatore, zone abusive di incolpevoli cittadini, in cui periodicamente accendono i riflettori delle proteste. Le frazioni abbandonate di Belvedere e Cassibile; i conglomerati: Villaggio Miano, Tivoli, Mazzarrona, Bosco Minniti, Grottasanta, Tremmilia, Pizzuta, Targia, Area santa Panagia, Borgata, Area via Elorina, contrada Isola, Area Terrauzza-Plemmirio, Fanusa, Arenella, Area Asparano-Ognina, Area Fontane Bianche e così via…
Quindi, Siracusa è un capoluogo formato da tanti nuclei urbani satellitari disuniti tra loro è sono senza servizi, senza marciapiedi e strade che con le acque piovane si trovano immerse nelle paludi, senza illuminazione pubblica, senza trasporti, senza… Vivere in periferia è un inferno, un incubo raggiungere il centro. Senza strade e/o circonvallazioni che possono collegare agevolmente il capoluogo centro anch’esso disastrato con strutture e servizi da dopoguerra. Però l’Amministrazione comunale ha incassato, piacevolmente, denaro dai proprietari per opere di urbanizzazione ed una infinità di condoni edilizi senza investire nulla sul territorio.
Oggi tanti cittadini della periferia si sentono abbandonati. C’è risentimento. Nel vuoto s’insinuano reti criminali.
E adesso mettiamoci nei panni di una delle tante persone perbene che vivono alla Mazzarrona, quartiere finito sui giornali per l’ennesimo blitz, delle forze dell’ordine, non ultimo lo scorso due novembre dove oltre 70 carabinieri hanno messo al setaccio l’intero quartiere dormitorio e sequestrati armi e droga.
Un cittadino che viene raccontato come un abitante collettivo dell’abisso delle periferie. Pensiamo ai tanti cittadini con i loro onesti sforzi. All’impegno di chi vuole educare i figli secondo coscienza. Alla fatica. E sei associato alla zona come componente, suo malgrado, di una situazione irredimibile. Perfino lui che cerca di tirare avanti con rettitudine dove è più difficile. Ed è più difficile non per un elemento genetico, visto che, alla Mazzarrona, come a Tivoli, come in tutte le periferie, ci abitano i siracusani.
Ma perché la città col «monocolo politico» e presunto perbenismo, che vive tra quartieri residenziali e dimore principesche vuole i cittadini ghetto, che vivono nell’ombra, quando ha bisogno di ammirarsi allo specchio.
Le persone perbene soffrono nelle periferie e non solo loro. Occorre ricucire, di collegare, di portare al bene, senza chiudere la porta in faccia all’ascolto del male.
Il capoluogo siracusano pieno di incognite e di frontiere-periferie. I cittadini sognano, per i loro figli, il meglio, un’esistenza diversa meno sacrifici. E li vorrebbero magari, dottori e avvocati. Ma sanno che il cosiddetto ascensore sociale è bloccato ai piani alti di una politica becera senza distinzione di colore.
Ecco perché occorre arrabbiarsi contro la classe politica che vuole cloroformizzare il popolo, quando si parla in un certo modo delle periferie.
La gente siracusana vuole il cambiamento. Tutti chiedono, davvero e disperatamente un cambiamento, e di essere sottratti al meccanismo perverso della povertà delle periferie. Ma è necessario, ancora una volta, essere chiari.
Alla Mazzarrona o in altri posti non puoi vendere droga, neanche per dare da mangiare a tuo figlio. Perché rischi di ammazzare il figlio di altri. I rapporti non sono semplici. Un bambino che, a cinque anni, ha visto il papà arrestato, non può coltivare sentimenti amichevoli nei confronti delle forze dell’ordine. Ha torto, però è normale. Ecco perché si deve ricostruire.
Per favore non dite che questi sono quartieri-ghetto, non per scelta, almeno. I politici siracusani vogliono i ghetti-cloroformizzati per cercare voti, tutti i politici. Ma lo Stato è presente. Le mamme, i papà, chiedono aiuto.
Le periferie sono, poi, un luogo strategico per l’integrazione dei migranti, come la Borgata. Ci vogliono progetti di integrazione delle periferie, ci vogliono investimenti dei conglomerati urbani satellitari di Siracusa da parte della Regione dello Stato.
Ma non possiamo trascurare la società civile, troppo distratta. La Chiesa, la più grande rete sul territorio, fatica ad avere una visione della città. La Chiesa rischia di diventare un insieme di nicchie, pur generose. Tante persone e istituzioni sono troppo disattente sulla sorte della città.
Recentemente l’Amministrazione Comunale ha perduto oltre 28 milioni di euro per la riqualificazione delle aree urbane degradate perché i progetti non rientravano in graduatoria o forse, colpevolmente, non erano abbastanza validi.
Ricordate le tante belle parole sulla firma della convenzione sul «bando periferie», era dicembre 2017, sottoscritta dall’allora segretario nazionale del partito democratico Matteo Renzi e dall’ex Giancarlo Garozzo, sindaco di Siracusa, rappresentavano per Siracusa un’occasione di sviluppo che andavano oltre il semplice recupero urbanistico per estendersi all’intera collettività. Parole invano, escluso la riqualificazione di via Tisia-Pitia, dopo una petizione di firme del centro commerciale naturale dei negozianti della zona.
Non ci riuscì neanche il grande architetto Renzo Piano che iniziò a parlare di «rammendo urbano» di certo non pensava al solo restauro dei palazzi delle periferie per renderli presentabili, se non belli, come quelli del centro. Non si diventa uno dei più grandi architetti al mondo se si pensa solo in funzione dell’estetica e non si riflette sul significato dei progetti e delle opere in chiave sociale. Nella definizione di «rammendo urbano», come lo stesso Piano aveva avuto modo di spiegare, l’aggettivo andava interpretato anche nell’accezione di «civile», e dunque gli interventi non dovevano essere fine a se stessi ma dovevano avere anche il compito di riavvicinare la gente, farla sentire parte viva della stessa città e sviluppare il senso della convivenza.
In quest’ottica, lo stesso concetto di periferia cambiava significato: non solo quartieri-dormitorio difficili da raggiungere, scarsi di servizi e privi di punti di aggregazione, ma tutti quei luoghi, anche in prossimità del centro, rimasti fuori dai piani di recupero e che tendono a ghettizzare le persone. Rivolgere lo sguardo a queste aree urbane significa concentrarsi sulla parte numericamente più rilevante della popolazione, significa occuparsi di un’umanità varia che vuole vivere meglio e ha bisogno di opportunità per lasciare i margini in cui si sente relegata.
Il merito del Governo è stato di avere colto la forza dell’impostazione di Renzo Piano e di avere investito una somma senza precedenti, 4 miliardi euro, per la realizzazione di interventi che dovevano essere di rigenerazione urbana e soprattutto sociale. I quasi presunti 18 milioni di euro spettati a Siracusa grazie al «bando periferie» dovevano essere destinati alla soluzione di molte criticità attraverso l’attuazione di un «master plan» formato da 9 progetti studiati dopo avere ascoltato cittadini e stakeholder e, dunque, rispondono ad esigenze concrete, fuori dalla logia delle grandi opere ma pensati per fornire ai residenti motivazioni a restare.
Erano interessate cinque macro-aree che abbracciavano una vasta porzione di territorio, due a ridosso del centro storico, o che ne sono parte, e due più lontane. Si puntava sulla riqualificazione dell’area compresa tra corso Umberto e la stazione ferroviaria, ricca di attività commerciali e artigianali; sul Porto piccolo e la zona circostante per sfruttarne finalmente le enormi potenzialità; sull’area tra via Piave e piazza Santa Lucia affinché torni a popolarsi come nei passati decenni e torni viva anche dal punto di vista economico; su Grottasanta; come dicevamo sopra in particolare lo spazio che raccoglie le vie Tisia e Pitia in modo che il centro naturale commerciale già esistente potesse consolidarsi su basi maggiormente funzionali; sul quartiere Mazzarrona, dotandolo di luoghi di aggregazione e di spazi verdi oltre a un presidio di legalità rappresentato dal comando della Polizia municipale da collocare nell’attuale scuola di via Algeri, finito nel dimenticatoio.
Il «bando periferie», vero e proprio investimento per il futuro, è risultato un vero «Flop» dell’Amministrazione Italia. Doveva essere un investimento a rischio contenuto, in quanto doveva incidere positivamente su realtà già esistenti, oltre che bello e appassionante perché rivolto alle persone e alle nuove generazioni. Per più di mezzo secolo è stato consumato suolo per costruire nuovi quartieri rimasti spesso isolati dal contesto urbano; per potere solo valorizzare l’esistente per assicurare condizioni di vita migliori ai residenti e prospettive positive ai giovani; i progetti presentati per il «bando periferie» sono risultati insufficienti tanto che sono rimasti fuori graduatoria.
Le belle parole dei politici, della Siracusa che vuole specchiarsi nelle sue vestigia del passato e regalare ad altri l’ombra dei suoi vizi e dell’ipocrisia.
La nuova Siracusa globale invece ha bisogno di visione, passione civile, nuove reti sociali ed educative in periferia, ma soprattutto nuove infrastrutture per la città del futuro.

Un sorriso,
Joe Bianca