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Spada di Damocle sulla Tonnara di Santa Panagia: sentenza

Entro fine anno è attesa la sentenza del Tribunale delle imprese di Catania sul ricorso della società «Melita Group Srl» di Enna aggiudicataria dei lavori interrotti con risoluzione del contratto da parte della Sovrintendenza di Siracusa. Un bene pubblico degradato in balia del tempo infausto, parliamo della «Tonnara di Santa Panagia» uno straordinario e inestimabile esemplare di archeologia itto-industriale, risalente ai primi anni del settecento e utilizzata fino agli anni cinquanta del secolo scorso, che necessita di urgenti e non più rinviabili interventi di recupero e consolidamento.
La Tonnara nel 1980 venne espropriata dalla Regione Siciliana ai marchesi Gargallo. La Tonnara è stato forse il più famoso dei tanti stabilimenti legati alla pesca e alla lavorazione del tonno, un tempo numerosi lungo la costa del Siracusano, testimonianza di un’attività allora fiorente, con importanti ricadute per l’economia della città.
Caratterizzato da una struttura particolare che la fa rassomigliare ad un piccolo borgo, con le abitazioni destinate alla ciurma, gli ambienti utilizzati per la lavorazione del pescato, i magazzini per l’alloggio e la riparazione delle reti e perfino una piccola cappella, l’antico stabilimento domina, a strapiombo sul mare, una suggestiva baia e un ampio retroterra in cui antiche latomie di età classica si accompagnano ai resti delle mura dionigiane, formando uno dei più interessanti contesti storico-archeologici e paesaggistici della città.
La tonnara rimase in uso fino agli anni ’50 del secolo scorso, quando la mattanza e il lavoro dei tonnaroti non furono più competitivi, e quando l’area cominciò a subire le trasformazioni ambientali causate dall’impianto del vicino petrolchimico.
Come aveva dichiarato Legambiente, la Tonnara in passato era stata oggetto di un primo intervento di recupero costato quasi 10 miliardi delle vecchie lire, ma il complesso venne abbandonato e distrutto da vandali ed intemperie. Il tempo ha vanificato questo primo intervento, facciamo in modo che la storia non si ripeta.
Nel 2005 la Soprintendenza presentò un progetto esecutivo di restauro della Tonnara da adibire a museo del mare, con un finanziamento di quasi 11 milioni di euro. Nel 2010 l’aggiudicazione dell’appalto fù impugnato al Tar dall’Ance perché il capitolato d’appalto non era stato redatto sulla base del prezziario regionale aggiornato e la vicenda della controversia giudiziaria venne risolta.
L’8 Settembre del 2014 in Soprintendenza a Siracusa, venivano consegnati i lavori per il restauro e la sistemazione museale della Tonnara di Santa Panagia. L’allora soprintendente, Calogero Rizzuto, illustrò i dettagli del progetto che era stato finanziato nello stesso anno dall’assessorato regionale ai Beni Culturali. Il progetto della Tonnara prevedeva un intervento economico di oltre 10 milioni di euro. I lavori erano stati consegnati alla «Melita Group Srl» di Enna per un importo di 4,8 milioni di euro con le risorse liberate del POR 2000-2006 e dovevano essere conclusi in 18 mesi, ovvero nel marzo 2016.
Dopo i primi interventi, però, la Tonnara era finita ancora una volta al centro di un contenzioso tra la ditta esecutrice dei lavori e la Soprintendenza che, dopo aver risolto unilateralmente il contratto, aveva visto presentarsi una richiesta risarcitoria di circa 4 milioni di euro. L’ente regionale aveva provato a scorrere la graduatoria del bando di gara, affidando i lavori di restauro alla società seconda classificata, ma senza arrivare a stipulare il contratto. Tutto si fermò nuovamente come confermò l’attuale sovrintendente, Rosalba Panvini.
31 Agosto 2016 l’amministratore unico di Melita Group, Francesco Melita, e il suo avvocato siracusano Gianluca Rossitto erano stati chiari durante la conferenza stampa: «La risoluzione del contratto per i lavori di restauro alla Tonnara di Santa Panagia non sarebbe stata legittima e la Soprintendenza adesso doveva vedersela con l’impresa aggiudicataria davanti a un giudice».
«Stiamo predisponendo un atto di citazione al Tribunale civile di Catania per dichiarare illegittima la risoluzione del contratto per inadempienza con richiesta di risarcimento danni da 4,5 milioni di euro», dichiarava l’amministratore della società.
La Sovrintendenza contestava la qualità del progetto e la sua impossibilità di esecuzione per molteplici motivi. Tra la fase di elaborazione e quella di approvazione erano passati 15 anni: il progetto preliminare risaliva al 1999, nel 2006 il progetto esecutivo. In mezzo un contenzioso e nel 2013 l’aggiudicazione della gara, poi la stipula del contratto a settembre del 2014 e passavano altri mesi fino alla consegna dei lavori. Consegna parziale, ad esclusione della parte a mare.
Proprio questa, in particolare, è la parte in cui avvenne lo scontro più grosso tra pubblico e privato: gran parte della Tonnara poggia su un costone roccioso a rischio crollo, tanto che la stessa Soprintendenza riteneva necessario il consolidamento. Le opere previste nel progetto, però, non erano sufficienti secondo l’impresa che riteneva a rischio la tenuta della struttura. Posizione dell’impresa evidenziata da una perizia giurata da parte di un professionista, sulla base di indagini che avrebbero confermato il fondamento di questa posizione. L’azienda aveva anche realizzato un progetto alternativo sottoposto ma non considerato dalla Soprintendenza, a cui era stata contestata anche una normativa antisismica ormai superata dal 2008 e calcoli errati.
La società che aveva vinto l’appalto per la realizzazione del museo alla Tonnara di Santa Panagia aveva ragione e adesso alla Soprintendenza toccava pagare i danni. Sul quantum, bisognava attendere probabilmente la fase di concordato tra le parti, ma intanto non lasciava adito a dubbi la consulenza tecnica d’ufficio incaricata dal tribunale delle imprese di Catania nella causa tra l’impresa Melita e la Regione Siciliana. La perizia era iniziata il 19 dicembre 2017 ma la relazione dell’architetto Luisa Coco era stata depositata solo a ottobre 2019 e discussa con l’ultima udienza dell’8 giugno 2020, adesso riferisce l’avvocato Gianluca Rossitto: «Siamo in attesa della sentenza definitiva auspicabile entro fine mese». A quanto pare sembrano emergere anche profili di responsabilità penale e contabile a danno dell’ente regionale.
Infine, verrebbero ridimensionate le pretese economiche dell’impresa cui venivano rimproverate le lavorazioni eseguite pur non essendo contemplate nell’appalto e quindi ritenute illegittime, ma si quantifica il danno subito da Melita group per ritardata sottoscrizione e illegittima rescissione contrattuale stabilendo un mancato utile di oltre 500 mila euro (a cui deve aggiungersi il saldo dei lavori effettuati).
Intanto il complesso è in condizioni igienico-sanitarie disastrose in quanto è diventato una vera e propria discarica a cielo aperto, con il cancello di ingresso della stradina sempre aperto ed in parte divelto ed asportato, con cumuli di detriti, immondizia, rifiuti di ogni genere (tra cui amianto e carcasse di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche). Sono state asportate tutte le travi in legno. Da alcuni anni è preda di attività malavitose, di spacciatori con operazioni portate a termine dalle forze dell’ordine.
«La Polizia Ambientale è dovuta intervenire oltre 40 volte su aree non di pertinenza comunale e sostituendo periodicamente dieci volte il cancello con il lucchetto incluso che i malviventi asportavano» afferma il comandante del nucleo, Romualdo Trionfante. «Per sicurezza la Municipale aveva posto dei massi per poi rimuoverli per causa di insani tentativi suicida cui Vigili del fuoco e 118 non potevano accedere nell’area». E’ di pochi mesi fa la bonifica dell’area da parte dell’assessorato all’Ambiente del Comune con interventi straordinari.
Non ultimo in un sopralluogo della Polizia Municipale riguardante la sicurezza dell’area, notavano che ignoti avevano forzato la porta della chiesetta, posizionata entrando sulla sinistra del complesso, è con stupore che l’ex luogo sacro era stato oggetto di messe sataniche con disegni occulti sulle pareti. Insomma la Tonnara di Santa Panagia è diventa una «zona franca» per la criminalità, spaccio di droga, devianze sociali con sette sataniche e sedute spiritiche e con la ciliegina sulla torta spazzatura a volontà.
Sarebbe interessante sapere quali provvedimenti dovrebbero essere adottati per arrestare il progressivo degrado del complesso ed avviarne i definitivi lavori di recupero e fruizione, anche alla luce delle responsabilità amministrativa per danno erariale a cui sarebbe esposta l’amministrazione regionale dinanzi alla Corte dei Conti per il mancato esito delle ingenti risorse spese a fronte delle gravi condizioni di degrado in cui versa l’immobile.
La Tonnara di Santa Panagia sarà davvero riqualificata o è ormai diventata uno strumento propagandistico di deputati e ciarlatani di genere dal 1984 ad oggi? Si giungerà presto a fatti concreti o l’area verserà ancora nel più assoluto degrado?
Se mai dovessero iniziare i lavori, la Tonnara rischierà di trasformarsi nell’ennesima cattedrale nel deserto. Il progetto, oltre a creare gli allacci per le utenze prevede, infatti, un intervento sulla struttura ma non sull’area circostante. Senza un progetto organico che preveda anche il recupero dell’intera area, c’è il fondato rischio che difficilmente si potrà accedere alla struttura restaurata e, cosa ancora più grave, non è stato previsto alcun piano di gestione per il futuro Museo, che lì dovrebbe essere realizzato.
A tornare sul tema è l’ex deputato regionale Vincenzo Vinciullo, che nei mesi scorsi aveva lanciato una provocazione, chiedendo l’abbattimento del complesso, vista l’incuria in cui versa. «Le risorse stanziate, ricorda l’ex parlamentare regionale, devono essere spese al più presto.
Vinciullo chiede un intervento dell’assessore regionale, Alberto Samonà e propone, come via d’uscita, l’affidamento della ricostruzione alla Protezione Civile o al Genio Civile. «Sarebbe comunque una mezza brutta figura ma salveremmo la Tonnara di Santa Panagia con la sua storia meravigliosa».

Un sorriso,
Joe Bianca