
Era il 23 aprile del 2014 quando la nobildonna subliminale della mia vita scomparve nei suoi anni splendidi, Giusi Cunsolo, una donna 50enne che con la sua personalità faceva impallidire una 30enne, una bellezza statutaria, una intelligenza strategica, uno stile leggiadro, «un disìo Mai non sentito di cotanto acume» (Dante); che illuminava il percorso della nostra vita. Una eredità di persona, una traccia difficile da colmare.
Era l’anno micidiale, quel 2014, sette anni fa, nel nostro stordimento totale della perdita, ci ricordavamo delle indagini sugli scandali a Roma, e Benigni non perse occasione di ironizzare nel corso della sua apparizione in tv: «Sono contento di vedervi qua a piede libero, con l’aria che tira a Roma, siamo riusciti a trovare gli incensurati: abbiamo avuto il permesso della Rai, della questura, della banda della Magliana. Possiamo cominciare. Hanno saputo che dovevo fare questo spettacolo, I dieci Comandamenti, e li hanno violati tutti». Nella sua introduzione, il premio Oscar aveva citato ancora una volta il premier: «Renzi al posto dell’Italicum vorrebbe il Vaticanum, chi viene eletto governa a vita». Ma poi, lasciati da parte Renzi e i politici, aveva iniziato il suo viaggio tra amore e doveri, diritto alla felicità, gioia della fede, invitando tutti a dieci secondi di silenzio, «perché Dio sta nei frammenti di silenzio». «Il senso del tutto è nel silenzio» aveva spiegato. «Pensate oggi quanto ce ne sarebbe bisogno: siamo tutti sempre connessi con tutto il mondo, ma disconnessi con noi stessi. Nessuno ha più il coraggio di rimanere da solo con se stesso. Ma i comandamenti ci dicono di fermarci: siamo andati talmente di corsa con il corpo, che la nostra anima è rimasta indietro. Fermiamoci, altrimenti la perdiamo per sempre».
Parole più che mai attuali e profetiche che con la pandemia Benigni ci ha fatto ritrovare noi stessi.
Un periodo davvero terrificante, mai verificatosi negli ultimi cento anni dopo la pandemia Spagnola. Siamo confinati, le piazze inevitabilmente e giustamente vuote, come se ci fosse il copri fuoco.
Nella storia, nel mese di aprile che precedette la Liberazione c’era il copri fuoco, era di guerra, se uscivi per strada ti sparavano, adesso per fortuna non è così, non c’è un copri fuoco di guerra ma di una emergenza, un copri fuoco scelto da noi, una limitazione della nostra libertà che scegliamo noi per rispetto degli altri e per salvare noi stessi. Però ci ha fatto capire cosa significa non avere la libertà.
Calamandrei diceva: «Ci si accorge di quanto vale la libertà, quando comincia a mancare, come l’aria». Ed ancora, diciamo noi, «manca la Libertà e Siracusa muore».
Tutti noi proviamo quel senso di asfissia in questi giorni e per questo a maggior ragione occorre essere più coscienti e vigili.
Cari amici siamo rimasti attoniti in uno dei passaggi dei «I dieci Comandamenti» recitati da Roberto Benigni che ci fa riflettere in questo momento di meditazione sul nostro futuro e sul come cambierà il nostro comportamento verso il prossimo che desideriamo proporvi il passaggio:
«Amiamo sempre troppo poco e troppo tardi» è una delle frasi di Roberto Benigni nella sua versione dei Dieci comandamenti. Notevole il passaggio sulla felicità, (minuto 7,57).
«La felicità. Cercatela, tutti i giorni, continuamente. Chiunque mi ascolta ora si metta in cerca della felicità. Ora, in questo momento stesso, perché è lì. Ce l’avete. Ce l’abbiamo. Perché l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli. Ce l’hanno data in regalo, in dote. Ed era un regalo così bello che l’abbiamo nascosto come fanno i cani con l’osso che lo nascondono. E molti di noi lo fanno così bene che non si ricordano dove l’hanno messo. Ma ce l’abbiamo, ce l’avete. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima. Buttate tutto all’aria. I cassetti, i comodini che c’avete dentro. Vedrete che esce fuori. C’è la felicità (…). E anche se lei si dimentica di noi, non ci dobbiamo mai dimenticare di lei (…). Non bisogna mai aver paura di morire ma di non cominciare mai a vivere davvero».
Ma noi ci chiediamo ma quando siamo felici a Siracusa?
E’ una bella o brutta domanda?
Dipende dal colore politico?
Ma occorre porcela necessariamente, per traccia un nuovo percorso di vita, di sviluppo.
Occorre chiedersi sempre se si è soddisfatti, per individuare l’altimetro dell’adrenalina, per raggiungere nuovi obiettivi non solo personali ma anche e soprattutto collettivi, l’«economia circolare» con la creazione dei posti di lavoro, è fondamentale per tutti noi nel preoccuparci anche del nostro vicino se ha bisogno di aiuto.
Quante volte abbiamo scritto fiumi di inchiostro che la nostra economia, individuati alcuni punti, è da riscrivere. Un territorio lacerato da una politica ‘piccola’ che vive alla giornata. Vogliamo parlare semplici per farci capire anche dalle formiche, è finito tutto. Come in una guerra, a parte la pandemia, i problemi incancreniti ce li troviamo da prima, (basta ripercorrere i nostri editoriali), dalle macerie occorre ricostruire il territorio, il futuro di questa città, la nuova «alba».
Basta con gente del nulla, dell’apparire, persone vuote dentro.
Guardate amici che: «Se l’ignoranza e la passione sono i nemici della moralità del popolo; bisogna anche confessare che l’indifferenza morale è la malattia delle classi colte».
Vogliamo ricordiamo le note dolenti del nostro territorio: PPO e PRG scaduti. Inesistenti: Piano Commerciale; carente il Piano Urbano della Mobilità; inesistenti i Servizi alla collettività, nel dimenticatoio i progetti di sviluppo ZES-SIN; lacunosi gli Asili nido; le periferie all’abbandono; la gestione dell’igiene urbana che fa acqua da tutte le parti; i trasporti senza più un pulmino; la protezione civile che aspetta che arrivi il maltempo e la burrasca per decimare i siracusani; le attività sociali che lasciano morire le classi meno abbienti; le strade lunari; le frazioni dimenticate di Belvedere e Cassibile (che adesso dopo una stasi, riprendono a parlare di autonomia); il Nuovo Ospedale di Siracusa di un sindaco inesistente, roba da chi l’ha visto; il Porto senza sviluppo; il libro bianco sul Turismo (adesso si ci è messa anche la pandemia) che aspetta solo il periodo delle Rappresentazioni classiche (rinviate); l’Industria e l’Agro-alimentare; l’Area Artigianale inesistente (pensate che anche Solarino l’ha realizzata); il collegamento stradale diretto con l’aeroporto Fontanarossa mai esistito.
Per non dimenticare della Rigenerazione urbana dell’Ance Siracusa per il quale l’ing. Massimo Riili rilancia la vicenda Stazione-Water front con il porto. Infine si è dimenticato, dopo la presentazione del progetto G124 riguardante il centro abitato periferico della Mazzarrona?
Adesso basta. Basta piangere sul latte versato: Sinistra, Destra, Centro o Liste civiche poco importa, l’importante è raggiungere l’obiettivo dello sviluppo del territorio e la creazione dei posti di lavoro, senza preconcetti.
Un sorriso,
Joe Bianca