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Giunta Italia è fallita, nessuno avrà il coraggio di sfiduciare

Siracusa è stata svenduta. Non una, ma cento volte. Non da un solo uomo, ma da un intero sistema politico che ha anteposto il proprio interesse personale alla dignità, al mandato elettorale e, soprattutto, al futuro della città. Per questo vanno cacciati via tutti. Ricordatevi però le loro facce.

La nuova giunta comunale varata dal sindaco Francesco Italia è solo l’ultimo capitolo di una storia che sa di resa, di cinismo, di mercimonio. Un rimpasto senza visione, senza anima, senza rispetto. Un’operazione che nulla ha a che vedere con il governo della città e tutto ha a che fare con la conservazione del potere.

Il sindaco Italia ha rovesciato completamente la squadra con cui aveva chiesto la fiducia degli elettori appena un anno fa.

Fuori Fabio Granata, simbolo dell’area civica e dell’ambientalismo d’ispirazione legalitaria. Fuori Barbara Ruviolo, che incarnava la novità e la sensibilità sociale. Fuori Giancarlo Pavano, Salvatore Consiglio, Teresella Celesti, Giuseppe Gibilisco (che forse sperava in un incarico tecnico da capo di gabinetto). Fuori, infine, Salvo Cavarra, defenestrato senza spiegazioni politiche e sostituito in silenzio.

Una purga. Una bonifica. Occorre necessariamenteuna pulizia politica

A rimanere in piedi solo tre nomi: Pietro Coppa, eterno presente della politica siracusana; Vincenzo Pantano, bersaglio di proteste e ironie per la disastrosa gestione della viabilità urbana; Edy Bandiera, vicesindaco ormai completamente svuotato, che pur di restare in sella continua ad accettare ogni umiliazione, anche l’ennesimo tradimento al suo gruppo e al suo alleato Alessandro Spadaro, rimasto con in mano un pugno di promesse.

Nel frattempo, il vero dominus della scena si chiama Peppe Carta. Sindaco di Melilli, fondatore del movimento “Grande Sicilia”, oggi è lui il regista occulto della giunta siracusana, il burattinaio che detta linee e nomi, il garante delle equazioni di potere.

La città? Totalmente fuori dal radar

Niente programma, niente progetto, niente prospettiva. Solo una parola d’ordine: sopravvivere. Arrivare al 2026. Mantenere il controllo del Palazzo. E, soprattutto, non mollare la poltrona.

Perché? La risposta è semplice. Perché ogni poltrona vale 2.700 euro al mese

Sì, è questa la cifra che oggi tiene in ostaggio Siracusa. Un’indennità mensile di 2.700 euro per ogni consigliere comunale. Ogni mese. Dodici mesi l’anno. Due anni ancora. Più contributi figurativi versati dal Comune per chi è contrattualizzato esternamente, più rimborsi per le assenze dal lavoro, più gettoni per le commissioni.

Totale stimato: oltre 65.000 euro da qui alla fine del mandato per ciascun consigliere

Ed è questo il motivo per cui nessuno presenterà una mozione di sfiducia contro il sindaco, anche se la città brucia. Anche se la giunta è un Frankenstein politico. Anche se la credibilità istituzionale è ridotta al nulla.

I consiglieri restano zitti. Anzi: restano seduti. E incassano

La crisi interna c’è, ed è evidente: basti pensare all’uscita del consigliere Simone Ricupero dall’MPA dopo l’esclusione del suo uomo di fiducia Cavarra. Ma nessuno, né Ricupero né altri, ha il coraggio di fare ciò che la situazione richiederebbe: mandare a casa il sindaco e sciogliere l’assemblea.

Perché? Perché il rischio è troppo grande: perdere l’indennità, perdere la contribuzione pensionistica, perdere i piccoli e grandi privilegi della carica. Troppo comodo indignarsi a parole e tacere quando si tratta di votare. Troppo comodo fingersi opposizione sui social e diventare complici in aula.

In tutto questo, i siracusani assistono, impotenti, al teatrino. Una città ridotta a periferia del potere altrui. Un sindaco interessato solo al proprio futuro personale. Un consiglio comunale silenzioso, immobile, codardo. E una giunta composta da otto uomini e una sola donna, inserita all’ultimo minuto per evitare l’illegittimità formale. Altro che parità. Altro che progresso. Qui siamo tornati al medioevo politico, travestito da amministrazione civica.

E allora diciamolo chiaramente: Francesco Italia non è più il sindaco di Siracusa. È solo il gestore temporaneo di un potere senza popolo. Un uomo solo, seduto su una poltrona che non gli appartiene più

Ma ancora più gravi sono quelli che lo reggono. Quelli che lo mantengono in piedi. Quelli che lo lasciano lì per non perdere lo stipendio. Per non perdere il vitalizio. Per non perdere la pensione.

È questo il punto. È questo lo scandalo. Siracusa è ostaggio di un consiglio comunale che non ha più nulla da dire, ma molto da incassare.

Non si tratta più di opinioni politiche. Qui parliamo di una resa morale. Di un’intera classe dirigente che, messa davanti alla scelta tra il bene della città e il proprio tornaconto, ha scelto il conto in banca.

E allora che nessuno parli più di rappresentanza, di democrazia, di mandato. Non esiste mandato dove non esiste più dignità.

La politica siracusana è finita. Se ne è andata in cambio di 2.700 euro al mese

Ma Siracusa è ancora viva. E chi l’ama davvero, oggi ha il dovere di dire basta. Di alzare la voce. Di inchiodare i responsabili alle loro responsabilità. Di strappare la maschera a chi finge di opporsi e poi resta fermo per convenienza.

È tempo di nomi, di numeri, di verità.

È tempo di dire che questo sistema non ci rappresenta più. È tempo di svegliarsi. Prima che sia davvero troppo tardi

In Sicilia, la legge regionale che ha permesso l’aumento delle indennità per sindaci, assessori, presidenti e consiglieri comunali è la Legge Regionale n. 13 del 25 maggio 2022 (art. 13). Tale norma recepisce la legge nazionale di bilancio 2022 (Legge n. 234/2021) senza il finanziamento statale, scaricando quindi l’onere sui bilanci comunali. In Sicilia, la legge regionale che ha permesso l’aumento delle indennità per sindaci, assessori, presidenti e consiglieri comunali è la Legge Regionale n. 13 del 25 maggio 2022 (art. 13). Tale norma recepisce la legge nazionale di bilancio 2022 (Legge n. 234/2021) senza il finanziamento statale, scaricando quindi l’onere sui bilanci comunali.

Un sorriso,
Joe Bianca